DONNA DI FUERTEVENTURA
esci dal mare col vestito della festa
d'alghe e pesci sonori di rosso
cuscini d'aria; col passeggio sulle dune
rifocilliamo le nostre tumide ansie.
la tua gola è arsa, il mio alito è anice,
insieme sono pronti allo scoppio
come benzina e fuoco steppenwolf.
godi del mio abbraccio pelvico
del colpo di mandrino autocentrante
lo scovolo fulmineo, il pistoneacciaioso.
nella tua pelle sgranata a balzi come rame
sprofondo il mio bulino, i miei attrezzi
scultorei; ti faccio assaggiare il miele
stellato, l'ambrosia in b/n, il breadandbutter
d'una colazione dei campioni; è collina d'eroi
questo letto, la battaglia senza vinti, solo
d’assalto, trincee di pelle nuda e umide
pozzanghere umane, fino alla vittoria
del cosmogonico amore dio.
Suerte y Duende a tutti! - a tutto tondo: grazie Franz per i versi con-divisi e per la con-divisione della meta (che vi ri -porto!)
MEZZI ALLA META (scrivo & leggo)
di Chiara Daino & Franz Krauspenhaar
Scrivo nel mio Stato: lunatico Scrivo il mio ego è alter rogo, è gomitolo di filo giallo e nero: la bile – e rotolo nel brado di gatto Scrivo la voce mista del “sono”: presente – e mi dono Scrivo il vero che muta verso: anima (e animale!) Scrivo sopra le righe, dentro la corda – rotta dal tuo quadrettare la mia camicia, dirotto la forza: vivo Scrivo non è morte è vetro non lesina Scrivo per la modifica e non si mortifica – chi morde il frutto bianco di letto: ti rendo il succo, ti stendo il sangue del mio piccolo globo (tutto vede tutto sente) Scrivo lontana dal loro lupo comune: il pelo perso è manto, è sullo stomaco di chi muove Scrivo e parto: un foglio nuovo – e giro, volto ( sia viso sia diretto) Scrivo e sono viaggio, sono nel dispari di un raggio che lotta Scrivo in automatico: in folle credere – prima, decisa (non si asseconda!) e mai recisa la strada che destino: sterza è marcia perfetta per fare e non restare (fermi al patibolo) Scrivo e avanza nel senso (procedi!): non accettare negativa – l’accezione di “fine” Scrivo nell’anfora capace: ripetere il diluvio – tormento la luce nel vento che riverso (sono nudo di polvere) Scrivo il vivo di una genuina – è mosto (pesto) sempre in piedi (non voglio metro nel mio canto-chilometri): si tonda la fitta nell’abbraccio, si traccia di gioia (e taccia chi ingoia!)
Scrivo è motore e rugge (r’ossa!) nella messa in moto si fonde, corpo e corpus Scrivo opero e cambio – carta: due di picche a giuda (non pago trenta denari – allago tanti binari) Scrivo mi rimetto alla guida Scrivo e una mano non basta al volante: più dita, più vita – nel viale del racconto: carica la tua valigia di sogni, discarica il tuo armadio di scheletri – e scegli: la tua pupilla (metti a fuoco, alimenta) Scrivo con destinazione: ricambio d’aria – faccio il pieno di adrenalina, sciogli i cavilli e intreccia la romanza: conduci tu – non è data coppia senza una doppia (apri le danze: chi balla e chi stalla!)E Leggo e una mano scinde il senso – si aromatizza la notte in un doblone di luce – Leggo sul leggio della luna, albatros montante, tante Gitanes spente sul deserto francese dei druidi – e Leggo il manto stradale, con le luci afflitte dalla querida notte cantante – Leggo il libro scuro dei sorpassi, il libro dell’ibrido abbraccio di camicie di forza bruta – Leggo le capinere nella boscaglia nuda di te, in versi autoreverse scuoiati come lucertole tra bimbi cattelanappesi nel gesto – Leggo il fumetto crepaxico, con muta nuda e pelle di plastica scoscesa su onde di destino adulto in Zeeland verdair – Leggo la gioia enciclopedica, la cultura impallinata nelle sfere del silenzio umbratile, violaceo – Leggo il destino sulle mani aperte nel sentiero vitale che trascende l’eco di questa corsa, rimembranze ortodosse lasciate al folle vento del giovedì – Leggo le salve di luce agli angiporti e tra navi scrostate di destini olandesi di Van Bruyden di Zwolle – Leggo tra la carta cantante di filigrana in pelle soda in grumo a lividi, dorata di ginger in aperitiva ascesa al cielo millenotturno - Leggo Baudelaire con una mano sola, come fosse una bicicletta appesa al collo della luce divina – Leggo le parole dure e acuminate, i sentieri di verbi ammaestrati e i congiuntivi slavati nelle pozze argentee di punti esclamativi – Leggo le bolle d’aria, come simboli carezzevoli di Ying e Yang portati al guinzaglio come cani d’autostrada, in settimana agostana, stramba – Leggo bersagli facili, crash tests all’orizzonte di guardia montante, con la luna spiritosa di Meliés che fa la spuma colorata in fessure di pellicola odorosa di muschio e caligine ossidata– Leggo le parole morte che combattono con quelle vive in un circolo infetto di proposizioni tronche affittate dal nullo senso del perduto giaciglio – Leggo nei sensi delle donne e nell’architrave di Salinger, in Sally e Phoebe, in misteri cilindrici e in ottovolanti pelvici incastonati in Disneyworld romanzeschi appuntati da reporter ottomani– Leggo le paratie e la salmastra altitudine del cormorano, che scende a impacchettare il pranzo come l’operaio tramezzato da lente scogliere di ore – Leggo sempre, leggo e scrivo sempre, scrivo il romanzo dell’anima del passato infibulato nel presente – Leggo il futuro sulla palla di vetro di un lampione bagnato di pioggia, a Parigi, 1997, in un pomeriggio d’aprile, quando per un secondo (assurdamente, senza un perché) fui felice.
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