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giovedì, marzo 13, 2008

THE GROUND BENEATH HER FEET

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Perché? Interroga. L'infido mamba. Il punto - di domanda. Si replica e si moltiplica mentre latita: la risposta. E quando il passo cede, ti prende per mano. Inatteso arrivo. Nel troppo fumo: la voce dell'etere ha viso di donna. Spaziozero di un assoluto [e Lui mi ricorda: si conta da prima. Prima dell'Uno: integro zero], spazio che ferma la furia di corsa. Firma: Liliana Zinetti. E soprende: la mole di merda, grani di sangue, grumi di sempre - si frena. Un sorriso. Semplice grazia. La stima che lotta. Anima e dis.ænima: è l'amara spina e ritrova nuda - la terra sotto i suoi piedi.

E non frana.

Da Vina - a Ofelia


I

Sur l’onde calme et noire où dorment les étoiles
La blanche Ophélia flotte comme un grand lys,
Flotte très lentement, couchée en ses longs voiles …
- On entend dans les bois lointains des hallalis.
Voici plus de mille ans que la triste Ophélie
Passe, fantôme blanc, sur le long fleuve noir;
Voici plus de mille ans que sa douce folie
Murmure sa romance à la brise du soir.
Le vent baise ses seins et déploie en corolle
Ses grands voiles bercés mollement par les eaux;
Les saules frissonnants pleurent sur son épaule,
Sur son grand front rêveur s’inclinent les roseaux.
Les nénuphars froissés soupirent autour d’elle;
Elle éveille parfois, dans un aune qui dort,
Quelque nid, d’où s’échappe un petit frisson d’aile:
- Un chant mystérieux tombe des astres d’or.

II

O pâle Ophélia! belle comme la neige!
Oui, tu mourus, enfant, par un fleuve emporté!
- C’est que les vents tombant des grands monts de Norwège
T’avaient parlé tout bas de l’âpre liberté;
C’est qu’un souffle, tordant ta grande chevelure,
A ton esprit rêveur portait d’étranges bruits;
Que ton coeur écoutait le chant de la Nature
Dans les plaintes de l’arbre et les soupirs des nuits;
C’est que la voix des mers folles, immense râle,
Brisait ton sein d’enfant, trop humain et trop doux;
C’est qu’un matin d’avril, un beau cavalier pâle,
Un pauvre fou, s’assit muet à tes genoux!
Ciel! Amour! Liberté! Quel rêve, ô pauvre Folle!
Tu te fondais à lui comme une neige au feu:
Tes grandes visions étranglaient ta parole
- Et l’Infini terrible effara ton oeil bleu!

III

- Et le Poète dit qu’aux rayons des étoiles
Tu viens chercher, la nuit, les fleurs que tu cueillis,
Et qu’il a vu sur l’eau, couchée en ses longs voiles,
La blanche Ophélia flotter, comme un grand lys.


I

A filo d’onda calma e nera dove dormono le stelle,
Ofelia bianca è quasi un grande giglio in altalena,
che tanto lenta ondeggia, distesa nel lungo tulle…
- si tendono da selve lontane grida per la preda.

È qui e più di mille anni: la triste Ofelia
passa, spettro bianco, sulla lunga riva nera.
È qui e più di mille anni che la dolce follia
mormora il suo rumore nel soffio della sera.

Il vento, se bacia il suo seno, dispone a corolla
i grandi veli nella culla mite della fonte;
di salici è il fremito di lacrime sulla sua spalla,
inchini di rami nel sogno largo della fronte.

Le ninfee sfiorate, in corona di fiati;
e qualche volta veglia, nell’ontano che dorme,
in qualche nido dove fugge, in un batter d’ali:
- mistero di astri in oro, un canto che a terra piove.

II

O tu, tenue Ofelia! la bella nel modo di neve!
Ora sei morta, una bambina, dal flutto rapita.
- il vento di Norvegia nel verso che depone
diffuse piano, per te: franchigia è fatica;

e un soffio tortura la tua forte chioma,
a tono di sogno nell’anima ritratti strani suoni;
e il tuo cuore era speso al verde che chiama
nel pianto dell’albero, e nei sospiri scuri;

e la voce di mari folli, immane gemere,
troncava il tuo seno acerbo; troppo umano e troppo dolce,
e un mattino di aprile, un pallido e bel cavaliere,
un puro folle, alle tue ginocchia si pose, senza voce!

Cielo! Amore! Libertà! Che sogno, e povertà di Folle!
Tu ti fondevi in lui come una neve al fuoco:
la tua mera pupilla mutò le tue parole
- e il blu del tuo sguardo sgranò l’Infinito tragico.

III

- e il Poeta dice: Alla luce di stella
i fiori che hai colto, la notte, li vieni a cercare;
e io ho visto sull’acqua, cinta nel lungo tulle,
un grande giglio, Ofelia bianca, e dondolare.



[Arthur Rimbaud, traduzione di Chiara Daino]

5 commenti:

Anonimo ha detto...

questi testi di R. si fanno leggere. bene. complimenti chiara. credo non debba essere facile. tradurre. (ora ci vorrebbe un pronome...)

tuo arthur.

Chiara Daino ha detto...

Grazie Arthur.
Tu sai. Facile - mai - tradurre. Sempre - PER AMORE - si tradisce. E il pronome? Declina i miei *ALTER ROGO*: «È falso dire: Io penso, si dovrebbe dire: mi si pensa. Scusi il gioco di parole.
IO è un altro».
GO Rimbaud!
I put my hand inside his cranium, oh we had such a brainiac-amour
But no more, no more, I gotta move from my mind to the area! per Patti. Che siano. E siamo. Noi: nel suono. Di una vocale:
Chiara.

Anonimo ha detto...

M O N K E Y W R E N C H
(Self Pollution Radio Broadcast KTS 398)

10 Commandments
of De-Punking
Don’ t dress punk.
Don’t associate with punks.
Don’t wear punk accessories.
Don’t buy punk records.
Don’t listen to punk music.
Don’t write of draw anything that is associated with punk.
Don’t have any punk materials or posters.
Don’t have any tattoos or harmful accessories.
Don’t injure yourself.
- Darlyne Pettinicchio, Orange County probation officer.

Un dolore fa, una risata nel buio è già parola e letteratura
ha per metà dimenticato i suoi ornamenti,
il meglio e il peggio.
Subimmo in piedi l’assedio di voci,
la piega dignitosa delle ore,
capitolazioni nello scomparto dei sarcasmi
e sugli intenti,
gli avanzi di sacrestia al risistemarsi degli istinti,
richiamati all’aria,
alla sbarra dei moventi,
subimmo capolavori d’impostura e versi di circostanza,
d’estenuazione lavorammo tenebre implorando digiuni e spettri
attribuimmo ai sensi crudità di cui si perse il nome,
e sempre dalla parte installata pronta a tradire e a ben servire,
al farsi facile preda e sentimantale.
Amico, la vita devi mandarla giù come una condanna!

Zeno

Anonimo ha detto...

IL POETA CONTUMACE



Sulla costa d’ARMOR, – Un antico e vecchio convento,
Là i venti si credevano in un mulino a vento,
E gli asini della contrada,
Sull’edera frusta, venivano a lasciarci i denti,
Contro un muro talmente sbrecciato che, per entrarci,
Non si sarebbe riuscito a trovar l’entrata.

– Sola – ma sempre in piedi con un raro appiombo,
Merlata come la mascella d’una vecchia,
Il tetto di sbieco come un cappello calato sulle orecchie,
Il muso all’aria, la torre incombeva,

Fiera d’aver sempre avuto, un tempo, la sua leggenda…
Non era altro che un covo di contrabbandieri,
Vagabondi notturni, amanti menzogneri,
Cani randagi, vecchi sorci, ladri incalliti e doganieri.

– Oggi era ospite della sordida loggia,
Un Poeta selvaggio, con l’ala un colabrodo,
Piombato là tra gufi antichi
Che lo stimavano dall’alto. – Rispettava le loro bettole, –
Lui, solo gufo pagante, come il contratto prevede:
A venticinque scudi l’anno, e: rimetterci una porta. –

Dalla gente del posto si teneva alla larga;
Solo, passando, loro lo guardavano da capo a piedi,
Scambiandosi cenni col naso alla sua finestra;
Il prete lo credeva un lebbroso;
E il sindaco diceva: – Per me, che volete che dica?
Piuttosto d’un Inglese si tratta… d’un Essere.

Le donne erano venute a sapere – senz’altro dagli idioti –
Che viveva in concubinaggio con delle Muse!…
Un eretico, per farla breve… Qualche Parigino
Di Parigi o d’un posto qualunque. – Ahimè! non se ne sa niente. –
Era invisibile; e, visto che le sue Donzelle
Non davano troppo nell’occhio, non si parlò piú di loro.

– Lui era, semplicemente, un buono a nulla spilungone, secco, pallido;
Un eremita-incapace, incalzato dalla raffica…
Che aveva troppo amato i bei paesi malsani.
Dato bell’e spacciato dagli uscieri, come dai medici,
Era finito lì, solo e in cerca d’un posto
Per crepare in santa pace o per viverci da contumace…

Pareva, d’una approssimazione d’artista,
Un filosofo approssimativo,
Rantolando al sole e al fresco,
Alla larga dall’umana pista.

Gli rimaneva ancora un’amaca, una ghironda,
Uno spaniel che dormiva sotto il nome di Fido;
Non meno fidato era, triste e dolce quanto lui,
Un altro compare che di nome faceva Noia.

Morendo di sonno, viveva in sogno,
E il suo sogno era l’onda franta sulla riva,
L’onda che si ritraeva;
Ogni tanto, vagamente, restava in attesa…
In attesa di che?… l’onda frangersi – l’onda ritrarsi –
O l’Assente… Chi lo sa?

Lui stesso, lo sa?… Al vento della sua garitta,
Ha dunque scordato come i morti vanno in fretta?
Lui, questo viveur troppo vissuto, spettro perduto,
Cerca il suo folletto, lui, sotterrato male?

– Certamente, Lei non è lontana, lei verso cui bramisci,
O Cervo di Sant’Uberto! Ma la tua fronte non ha ardore…
Non comparire, vecchio mio, triste e falso dissotterrato…
Fa’ il morto se ti riesce… Ché Lei t’ha pianto!

– E come poteva, Lui!… non era forse poeta…
Immortale qualunque?… E nella sua povera testa
Svuotata, sentiva ancora che i versi
Esametri andavano di sbieco avanti e indietro.

– Dappoco fino all’assurdo per « saper vivere » – sopravviveva –
E – dappoco per « saper morire » – scriveva:

« È uno che ha passato le cento lune, mia Cara,
Nel tuo cuore poetico, allo stato leggendario.
Rimo, dunque vivo… non temere, è a vuoto.
– Coccia d’ostrica nella crepa della roccia! –
Sì, ho un bel tastarmi: sono io! – Ultimo granchio –
In rotta verso i cieli – giacché il mio riparo sta in alto! –
Mi sono chiesto, pronto a spiccare il volo:
Testa o croce?… – E voilà – me lo chiedo ancora… »

« Per te ho preso il largo dalla vita,
A te che mi piangesti, tanto da tentarmi
A restare con te a pianger me stesso. Ora che il dado
È tratto, non sono che uno spettro rammollito
In ossa e… (stavo per dire in carne). – La cosa è certa
Son io davvero, ecco qua, – ma come un frego. »

« Eravamo appassionati di curiosità:
Vieni a vedere il Gingillo. – Ne sono nauseato. –
Nei miei disgusti soprattutto, ho gusti raffinati;
Lo sai: avevo lasciato la Vita con i guanti;
L’Altra non è nemmeno da prendere con le molle…
Cerco al manichino nuovi indumenti. »

« Torna a sorreggermi: i Tuoi occhi in questi occhi! Il tuo labbro
Su questo labbro!… E via, non senti la mia febbre
– La mia febbre di Te?… – Sotto l’orbita è passato
L’arcobaleno arroventato lasciato dalle nostri notti?
E quella stella?… – Andiamo! non cercar piú la stella
Che volevi veder sulla mia fronte:
Un ragno ha tessuto la sua tela
Nell’identico punto – sul soffitto ».

« Sono uno straniero. – Forse è meglio cosí…
– Ebbene no! torna ancora a frugarmi un po’;
Come da buon San Tommaso, voglio provare la tua fede,
Voglio vederti toccare la piaga e dire: – Proprio Tu! –

« Vieni a finirmi ancora – qui è molto allegro: Dalla tua stanza,
Vedrai le mie messi – Siamo in dicembre –
I miei grandi boschi d’abeti, i fiori d’oro delle ginestre,
Le mie eriche d’Armor… – a fasci sugli alari.
Vieni a ingozzarti d’aria pura – Qui c’è una brezza
Cosí pungente!… che la punta del tetto s’increspa.
Il sole è cosí dolce… – che gela di continuo.
La primavera… – La primavera, non sono i tuoi vent’anni.
Non aspettano che te, vedi: già la rondine
Si posa… sul ferro arrugginito, serrata alla mia torretta. –
E ben presto potremo cogliere funghi…
Sulla mia scala indorata… da un moccolo.
Nel muro verdeggiante sta una pervinca
Secca. – …E poi ce ne andremo al mare a fare il morto
– Relitti a secco – come me – su queste rive.
Il Mare attacca la sua Ninna-nanna per naufraghi;
Barcarola della sera… per le anatre selvatiche. »

« Come Paolo e Virginia, e virginali – se vuoi –
Cadremo tra le erbe del paradiso perduto…
Oppure Robinson con Venerdì – è semplice –
La pioggia ha già fatto, del mio imperio, un’isola. »

« Se però, con me, temi la solitudine,
Abbiamo amici, alla mano – Un bracconiere;
Senza contare un caban blu che, al solito,
Va sempre su e giù indosso a un doganiere.
Basta diavoli d’uscieri! Ho il chiaro di luna,
E amici pierrots amanti senza fortuna ».

– « E le nostri notti! Belle notti d’orgia sulla torre!…
Notti da Romeo! – Non si fa mai giorno. –
La Natura al ridestarsi – ridestarsi da scatenata –
Scuotendo il suo panno bianco… spegne il mio camino.
Ecco i miei usignoli… usignoli d’uragani –
Paghi come fringuelli – singhiozzi di barbagianni!
La mia banderuola srugginisce in alto la sua tirolese
E si sente gemere la mia porta eolia,
Come Sant’Antonio nella sua tentazione…
Oh, vieni! grazioso Succubo della seduzione! »

– « Op! i sorci del solaio danzano farandole!
Le ardesie del tetto risuonano a suon di nacchere!
Le pazze Fantasie…
No, non ne ho piú! »

… « Quanto rivenderei i miei resti a Satana,
Se mi tentasse con un piccolo Spettro…
– Tu – Ti vedo dappertutto, ma come veggente smunto,
Ti adoro… Ed è poca cosa: adorare quello che si ama!
Appari, lama nel cuore! – Sarà,
Lo sai bene, come in Inès de la Sierra…
– Bussano… oh! c’è qualcuno…
– Ahimè! sì, un sorcio.

– « Sragiono: sei sempre Tu. Sopra ogni cosa,
Come uno spirito folletto, il tuo ricordo si posa;
Mia solitudine – Tu! – Miei gufi dall’occhio d’oro:
– Tu! – Mia folle banderuola: Oh, Tu!… – Cos’altro ancora?…
– Tu: imposte spalancate alla tempesta…
Una voce lontana: la Tua canzone! – è festa!…
Raffiche sferzanti il Tuo nome perduto – è da imbecilli –
È da imbecilli, ma sei Tu! Il mio cuore offerto ai dirotti,
Come le imposte sottosopra,
Batte, folle, sotto il soffio
Delle folate piú bizzarre. »

« Guarda… un’ombra fugace, per un attimo, è venuta
Ad abbozzare il tuo proflo sulla parete spoglia,
E ho voltato la testa… – Speranza o ricordo –
Sorella Anna, alla torre, non vedete venir nessuno?…

– Niente! – Vedo… vedo, in questa gelida stanzetta,
Il letto ricoperto d’un raso irreale;
E il mio cane che ci dorme sopra – Povera bestia –
… E io rido… perché questo un po’ mi fa star male. »

« Ho preso, per chiamarti, la lira e la ghironda,
Il mio cuore fa del sarcasmo – idiota – per illudersi…
Vieni a lagnarti se i miei versi t’han fatto ridere,
Vieni a ridere, se t’han fatto piangere… »

« Ci sarà da ridere… Vieni a giocare alla miseria,
Dal vero: – Un cuore e una capanna. –
… Piove sul mio focolare, piove sul mio cuore spento.
Vieni! La mia candela s’è spenta e non ho piú fuoco… »

, ,

La lampada si spegneva. Aprì la finestra.
Il sole nasceva. Prese la lettera,
Rise e la stracciò… I piccoli frammenti bianchi,
Nella nebbia, sembravano un volo di gabbiani.

(Penmarc’h – giorno di Natale.)


(di e da Les Amours jaunes par Tristan Corbière, tr. dal francese L.S)

Anonimo ha detto...

Grazie, Chiara.
Un abbraccio
liliana